lunedì 5 gennaio 2009

Angela e il Druido - Prima Parte


«Ti è mai capitato di sognarti mentre sei in volo? Come un uccello che plana sopra ai tetti e alle luci del posto da dove vieni tu?».

«Sì, un sogno simile me lo ricordo», comincia Angela «o forse ne avrò fatto più di uno ma non tutti si riescono a trattenere fino al risveglio. Era notte, anzi nel sonno era appena dopo il tramonto, in quel pre sera che a volte sembra più luminoso del giorno, con la luce bianca che filtra attraverso il grigio perla dell’orizzonte».

Ora l’espressione del druido si apre in un sorriso accogliente e Angela si sente meno in soggezione. Appena aveva raggiunto la casa sull’albero, dopo una lunga arrampicata assistita da due folletti che bisbigliavano rumorosamente fra loro, aveva dovuto trattenere a forza l’impulso di tornare a terra. Fu soprattutto la via impervia a scoraggiarla. Arrivata a uno spiazzo circolare si era guardata attorno notando che la grande capanna di rovi e bacche colorate dinnanzi a lei era circondata da una composizione irregolare di strutture simili, poste sugli alberi attigui e collegate fra loro da ponti di rami intrecciati e liane penzolanti. I folletti avevano ripreso a balzarle attorno quando, da tutti gli angoli, spuntarono timidi esemplari di ogni specie, avvicinandosi a lei con passo premuroso per non spaventarla.

Per primo arrivò uno stormo variopinto di pappagalli, merli, tucani, passerotti, tortore, picchi e pennuti vari che prese a volare in circolo sopra la sua testa. Alcuni si posarono sulla schiena dei cavalli marezzati che l’avevano già raggiunta assieme a caprioli, zebre, leoni, scimmie, stambecchi, iguane e quadrupedi di ogni genere. Le creature si disposero ordinate attorno alla sua figura, come un comitato di benvenuto. Uno dei due folletti, quello più agitato con il cilindro rosso, saltò sul dorso di un alce e inscenò un finto galoppo. Non aveva ancora avuto il tempo di riprendersi dalla visione che ci fu un sussulto di versi fra gli animali al quale seguì una genuflessione generale. I cervi e i caprioli, imitatati da tutte le altre bestie – tranne i volatili - abbassarono il capo fino a sfiorare l’erbetta con le corna. I dromedari piegarono le zampe anteriori verso l’interno e rimasero sospesi in quella posizione yoga. Le marmotte e i formichieri si sdraiarono letteralmente con le zampe all’aria, mentre gli uccelli sbattevano le ali sul posto.

Di riflesso si inginocchiò anche Angela, ancora prima di scorgere una figura con un lungo mantello all’entrata della capanna con le mani giunte protratte verso gli animali. L’atterraggio del piccolo folletto le fece quasi perdere l’equilibrio.

«Hai visto! Hai visto! Ti stavano tutti aspettando» sghignazzò dietro la folta barba.

«Quando il druido si alzerà e rientrerà nella capanna tu lo dovrai seguire senza parlare» aggiunse con un colpo di tosse.

«E poi? Cosa succede? Cosa devo fare?» domandò spaventata Angela.

La risata che seguì fu ancora più fastidiosa delle altre.

«Noi non lo sappiamo. Non ci è dato saperlo. Solo Kovak ci è stato una volta dal druido e gli ha detto che. . .».

Da dietro la nuca di Angela arrivò una noce di cocco che centrò in pieno volto il folletto con il quale tentava di dialogare. Il piccolo si rialzò e sparì nella palude adiacente senza dire niente. Spuntò anche Kovak con il suo cilindro blu.

«Stupido Tallin. Parla sempre a sproposito. È per questo che il druido non lo riceve. Non è pronto se non è capace di trovare il silenzio dentro di sé. Presto alzati, Galbuser sta entrando. Vai!»

Angela non ebbe il tempo di rialzarsi che già intravedeva la sagoma del druido che si accingeva ad entrare ma improvvisamente avvertì il senso di empatia che collegava tutti gli esseri lì presenti. Era sicuramente un’emanazione del druido, come se dalla sua pelle traspirasse amore profondo per tutti gli esseri viventi e chiunque nel suo raggio venisse avvolto dalla consapevolezza di non essere solo nell’universo ma legato ad ogni altra cosa come trama di un tessuto. Ognuno come una tessera di un puzzle infinito dove si incastrano perfettamente altri pezzi.

Angela, rapita da brevi frammenti di comprensione cosmica, non si accorse che, nel frattempo, il druido era giunto a pochi passi da lei. Non le restò che volgere lo sguardo alla figura ormai prossima: una grossa sagoma fasciata da una tunica color sabbia. Sul petto del druido campeggiava un grande rombo verde smeraldo che faceva da sfondo ad alcune figure geometriche. Un mantello rosso rubino gli arrivava fino agli stivali marroni. I capelli rossi ramati gli toccavano le spalle ed avevano lo stesso colore della barba, lunga a sufficienza per far appena intravedere la strana collana che portava al collo. Una ghirlanda composta da gemme colorate tenute insieme da foglie arrotolate e sottilissimi ramoscelli.

La sua presenza così ravvicinata era regale e benevola ma caricò Angela anche di un forte imbarazzo e di una paura che le congelava ogni pensiero mentre tentava di organizzare qualcosa da dire. Spezzò il silenzio prima che lo facesse lui, non sapendo che egli avrebbe potuto attendere anche un’ora intera prima di esprimersi.

«Io lo so, avrei dovuto seguirla dentro ma non ne ho avuto il tempo. C’erano dei folletti qui, prima, e mi hanno un po’ confusa» improvvisò Angela.

Le rispose una voce ferma e profonda.

«Primo, non ti devi giustificare. Secondo, non sentirti in dovere di addossare la colpa agli altri» l’ammoni Galbuser con rilassato paternalismo.

Un’ondata di imbarazzo colorò il viso di Angela, seccandole all’istante le fauci.

«Questo è solo il tuo orgoglio. È lui che ti fa soffrire e non le mie parole, mia cara. Non c’è niente di più implosivo e minaccioso per la crescita di coscienza dell’orgoglio».

Con gesto rapido e calibrato il druido le cinse le spalle con il suo mantello di velluto e, tenendo il suo braccio dietro la schiena della ragazza, fece una leggera pressione per metterla in movimento. Galbuser dettò il passo, incamminandosi verso l’entrata della capanna. Angela zampettava al suo fianco come un automa, intontita dal fare diretto del druido. Al suo passaggio, Galbuser dispensò veloci carezze e cenni del capo agli animali che erano ancora silenziosamente raccolti al suo cospetto.

«Loro ad esempio», aggiunse indicando le creature «sono prive d’orgoglio e riescono a vivere ogni istante incontaminato da turbe emozionali».

L’imbocco di arbusti che le era sembrato vicino non si raggiungeva ancora e Angela dovette sorreggersi a Galbuser per fare gli ultimi metri.

Varcata la soglia, i suoi occhi ci misero un attimo ad abituarsi al buio. L’ambiente era enorme e su più livelli. Ad una prima occhiata riusciva a contare almeno tre piani collegati da scalette a pioli incastonate nel legno. La luce filtrava fra il verde del tetto e delle pareti ma vi era anche un enorme fuoco dalle fiamme vive posto sotto una grande campana di vetro. Neanche si era accorta della creatura silenziosa che li aveva raggiunti. Era una donna, o almeno così pareva, ma ormai non si fidava più delle sue impressioni. Aveva lunghi capelli verdi raccolti in uno chignon dorato che faceva risaltare i suoi enormi occhi truccati. Si muoveva con la leggiadria di un gatto, annuendo fedelmente alla richiesta dei Galbuser.

«Prepara un decotto di malva e ortica. Quando si è raffreddato aggiungi due gocce di siero di Pander. La piccola Angela ha bisogno di un po’ di energia per trovarsi faccia a faccia con se stessa».

«Ti chiederai perché sei qui», esordì il druido, questa volta rivolgendosi ad Angela.

Fine Prima Parte

Valentina Malcotti

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bello. Mi piace davvero il racconto... quanti capitoli pensi di "produrre" ancora? Sono curioso di leggere la seconda parte...
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Anonimo ha detto...

imparato molto