domenica 21 dicembre 2008

Out of place


La sedia è una di quelle di tendenza, da dèhors estivo, con listelli di legno grezzo verniciati di verde e una linea che ricorda le cadreghe poste a semicerchio fuori da certe latterie di paese, dove gli anziani prendono il fresco. Alla mezzanotte di una gelida serata di dicembre, la stessa sedia è fuori posto adagiata lateralmente a un caminetto acceso, all’interno di una piccola sala gremita da volti e cappotti. Così com’è spiazzata la mia schiena, appoggiata allo schienale traballante dal quale mi separa solo la lana di una sciarpa colorata.

Da sinistra arrivano vampate di calore e crepitii di legna che arde e devo voltarmi alla mia destra per incontrare l’imbarazzata complicità della mia amica di sempre. Cambiano i tagli e le tinture dei capelli, variano i numeri in rubrica, ma continua a bastare uno sguardo muto per accordarsi sul da farsi.

Davanti a noi la tavolata affronta le portate colorate, armeggiando rumorosamente con stoviglie e porcellana. I commensali si parlano fra il vetro scuro di bottiglie vuote di Nebbiolo, alzandosi a turno per consumare la sigaretta digestiva nella piazzetta antistante al locale. I centimetri di tovaglia che non sono occupati da filetti di tonno in crosta e mestoli per il brodo, sono invasi dalla carta colorata che celava i doni mangerecci di un’improvvisata lotteria di Natale.

Tutte le guancie color vermiglio. Le nostre, per la vicinanza al fuoco e il disagio della situazione. Le loro, a causa dei calici di vino e della veemenza degli aneddoti lavorativi. Le risate fragorose di tutte le età rimbalzano contro le pareti color salvia e la grande vetrata senza mutare la mia espressione assente, che si aggiunge a quella di circostanza della mia omonima. Neanche le nuche famigliari e incolpevoli poste a un centimetro dal nostro naso possono dare un senso a questo posteggio forzato alla quale poniamo fine con un veloce blitz al bancone.

Consumata una media chiara, optiamo per due passi nella piazzetta esagonale in via di riqualificazione mentre all’interno iniziano le danze, frutto di un indovinato connubio fra ballate meridionali e suoni etnici. Quando, dal marciapiede, torniamo a guardare la tavolata attraverso la vetrata sulla strada, stanno bevendo il caffè in modo disordinato. Ormai i posti non sono più assegnati e regna un’anarchia di saluti natalizi. La mia sedia è rimasta vuota. Dai vetri ricambiamo i cenni sinceri e un po’ dispiaciuti di mani affezionate.

Al sicuro, attraverso una lastra trasparente, è affascinante osservare i pesci di questo acquario; ognuno, con il suo distintivo mosaico di scaglie, si muove negli abissi della comunicazione con pinnate a ritmi personalizzati. Ci sono predatori che aspettano di attaccare e prede che tentano di mimetizzarsi sul fondo, mentre sopra di loro passano banchi veloci e compatti. Le branchie si sfiorano spingendo qualcuno fuori scia. C’è un pesce esotico che si ferma a osservarci immobile. Ora siamo noi a sguazzare infreddolite nel nostro acquario esterno. Chissà cosa scorgono i suoi occhi attraverso il vetro. Decido che, ancora una volta, è solo una questione di punti di vista ed è unicamente il caso a metterci da una parte o dall’altra del vetro. Siamo tutti, a tratti, osservatori e osservati, cacciatori e cacciagione, e galleggiamo con fatica nelle acque mosse di questi tempi.

Valentina Malcotti©

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