giovedì 30 agosto 2007

Prendere o lasciare

I tramonti più carichi li aveva visti lì, accovacciata sul muretto ruvido della piazzetta, aspettando di sedersi per l’aperitivo sardo. Il granito grezzo su cui appoggiavano le cosce estive, coperte solo da parei e creme abbronzanti al sapor di cocco, lasciava segni sulla pelle nuda, come un alfabeto braille. Alle sette di sera quel muretto prendeva vita, riempiendosi di asciugamani colorati e sciabattare di infradito.
I giovani, tornati dalla spiaggia, si radunavano al suo cospetto per poi occupare i tavolini del Gavino Cafè e ordinare vermentino ghiacciato e spizzichi. I bambini, anch’essi sul muretto, li guardavano affascinati ma raccoglievano le biglie nei retini e correvano a casa per la cena, con i granelli di sabbia grigia ancora incollati ai talloni. Sarebbero tornati un paio d’ore dopo, indossando i jeans preferiti e, con i capelli a spazzola pieni di gel, avrebbero fatto le quotidiane vasche su e giù per il villaggio vacanze. Avevano atteso con ansia l’arrivo dell’estate sognando, nei bui pomeriggi invernali passati a fare i compiti nelle loro camerette di città settentrionali, la libertà concessa in quelle serate calde.
A quell’ora anche i villeggianti canini avevano il loro momento di gloria. Attraversavano la piazza saltellando accanto ai padroni con il collo ruotato verso l’alto per ricevere da un gesto o da uno sguardo la conferma della destinazione. Con una carezza sulla testa, la conferma arrivava sempre e i quattro zampe partivano scodinzolanti al galoppo precedendo i padroni sulla stradina sterrata che portava alla spiaggia. Infatti, dopo il calar del sole e prima che scendesse lo scuro, la spiaggia diventava il regno dei cani che, impossessati da un entusiasmo profondo, facevano lunghe accelerate sul bagnasciuga lasciandosi dietro schizzi e sale, guadagnando un profumo di salsedine che rimaneva a lungo fra il pelo ispido.

Dai tavolini imbanditi di salame di cinghiale e pane carasau, arrivavano risate fragorose e squilli di suonerie con brani appena sbarcati dai festival bar del momento.
Fu un giorno preciso quello in cui, tornando dalla baia ferma, che a quell’ora assomiglia più a un lago, lei lo vide di nuovo seduto su quel muretto con le gambe olivastre appoggiate al petto e la camicia celeste aperta. Il suo viso assolutamente nuovo ma assolutamente conosciuto. Uno sguardo che sembrava scaldarle la schiena mentre si voltava per dirigersi confusa al bar. Fu un attimo, lei saluto un’amica, si voltò e lo aveva davanti: “Ciao, tu ci vieni alla spiaggiata stasera?”. Queste le parole, ma, in una dimensione senza tempo, la domanda che quel ragazzo sorridente le fece e che il cuore di lei tradusse fu un’altra: “Sei tu? Sono arrivato? Adesso posso riposare?”.

Fu proprio quel muretto, nella sua immobilità rocciosa, il fedele testimone di un susseguirsi di estati spese a raccogliere i loro baci, le loro promesse e poi la loro delusione, le loro lacrime e la loro sconfitta. Tutto mutò, ma non le venature beige del granito di quel muretto che sono state le prime ad accogliere la risposta che lei diede, molto tempo dopo, alla domanda che quel ragazzo aveva voluto farle nei primissimi istanti della loro simbiosi: “In me c’è il familiare e l’ignoto, l’inizio e la fine, il riposo e la corsa, il dolce e il salato, la ragione e il torto. In me, c’è la vita. Prendere o lasciare”.

Valentina Malcotti©


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