martedì 16 ottobre 2007

TUTTI IN CARROZZA ( “si parte per vedersi ritornare”)

Treni presi. Treni persi, che altro non è che l'anagramma di “presi”. Come se un treno preso fosse, allo stesso tempo, anche perduto con l'abbandono del vagone diviso con sconosciuti e il successivo svanire del ricordo del viaggio. Cartoline sbiadite subito rimpiazzate da immagini nuove, rovesciate sulle retine senz’arresto. Ma anche treni persi che non sempre determinano un arresto ma, alla “Sliding Doors”, sono in grado di contenere in essi anche nuovi inizi. Diventano carrozze invisibili “prese” per altre destinazioni, per volere divino o per uno scherzo del destino, che poi spesso rientra già a priori nei disegni del creato.
L’avrà saputo Attila, il flagello di Dio:

“Barbara luna rosso scudo
il re degli Unni guardava Roma
uomo di poca fantasia
lui la scambiò per una stella
quando gli uomini giunsero in collina
aveva sciolto l'armatura
e fu per ignoranza o per sfortuna
che perse il treno, il treno per la luna.”

- Attila e la stella - Antonello Venditti

Treni persi. Travolti dalle onde dell’innamoramento che cancellano sonno, oggetti e impegni pennellando la città con il nome, il suono e il volto dell’amore folle. Un treno mancato che non vale un secondo d’infinito passato stringendosi senza guardare avanti:

“Vattene amore
che siamo ancora in tempo,
credi no, spensierato sei contento,
vattene amore
che pace più non avrò né avrai,
perderemo il sonno
credi di no,
i treni e qualche ombrello,
pure il giornale leggeremo male caro vedrai,
ci chiederemo come mai
il mondo sa tutto di noi”

- Vattene amore – Amedeo Minghi e Mietta

I treni e le promesse. Il mito del progresso, dell’avanzamento, in cui ogni occasione era buona per ribellarsi e immolarsi con simboli per la collettività. C’era la potente valenza duale del treno. Da un lato l’immagine di sudore, fatica e strisce di carbone sul viso ma la gioia sana di produrre movimento e la fierezza del capostazione di paese come rappresentante dell’entusiasmo delle masse. Dall’altra, un simbolo di opulenza e il viaggiare come un privilegio riservato a pochi eletti.
La locomotiva di Guccini incarna perfettamente questa dualità diventando sia oggetto che soggetto di una rabbia sociale che vuole lanciare un vagone contro l’altro:

"Conosco invece l'epoca dei fatti, qual' era il suo mestiere:
i primi anni del secolo, macchinista, ferroviere,
i tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti
sembrava il treno anch' esso un mito di progresso
lanciato sopra i continenti . . .
E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano
che l'uomo dominava con il pensiero e con la mano:
ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite,
sembrava avesse dentro un potere tremendo,
la stessa forza della dinamite. . .
Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione,
un treno di lusso, lontana destinazione:
vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori,
pensava al magro giorno della sua gente attorno,
pensava un treno pieno di signori. . .
E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo
pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto.
Salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura
e prima di pensare a quel che stava a fare,
il mostro divorava la pianura. . .
Correva l' altro treno ignaro e quasi senza fretta,
nessuno immaginava di andare verso la vendetta,
ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno:
"notizia di emergenza, agite con urgenza,
un pazzo si è lanciato contro al treno.”

- La locomotiva – Francesco Guccini

Una rabbia ripresa ad hoc da Vecchioni che, calato nel suo ruolo reale di professore, racconta i percorsi sempre uguali dello sviluppo emozionale, ieri come oggi, a un suo studente. Dai treni ai voli charter, dalla rabbia alla poesia e viceversa:

"La rabbia un tempo la scandiva
soltanto la locomotiva
gettata a sasso sulla strada;
adesso è giorno di mercato
spuntano a grappoli i poeti
tutte le isole han trovato”

- Canzone per Francesco – Roberto Vecchioni

Gli anni, non ancora terminati, in cui si cercava la felicità nelle partenze, nell’andarsene via come soluzione catartica. Se una manciata di decenni fa si saliva su giganteschi bruchi di ferro, lasciando le borgate di campagna per raggiungere la Mecca delle città, oggi si abbandonano le città per inseguire la tranquillità delle campagne.
La storia gira sempre su se stessa e quelli che ieri erano punti d’arrivo oggi sono punti di partenza ma pur sempre all’interno di una catena di movimento che ripone nelle partenze una vaga speranza di felicità e miglioramento della qualità della vita. Baglioni propone un abbinamento treno-America, tunnel sotterranei che per ora restano fantasia, sottolineando una sorta di apoteosi nel raggiungimento del nuovo continente. Una fuga di successo. Il treno come riscatto dall’amarezza della vita e l’America vista, con il fumo negli occhi, come terra di frontiera e possibilità:

“Avrai un telefono vicino che vuol dire già aspettare
schiuma di cavalloni pazzi che si inseguono nel mare
e pantaloni bianchi da tirare fuori che è già estate
un treno per l'America senza fermate.”

- Avrai – Claudio Baglioni

Il treno e il ritorno. La dolcezza dei ritorni lungamente attesi è guidata dalla pazienza del carbone che brucia lento diffondendo un’essenza che non assomiglia al profumo delle partenze.
De Gregori immagina l’agognato viaggio verso casa di soldati che tornano dal fronte con una voglia di vivere che li aveva resi invincibili, seduti su treni che non viaggiano verso il sole e l’evasione ma tornano al familiare e alla quotidianità. La complicità del treno aumenta con una sorta di personificazione del treno che non si ferma neanche per svolgere i suoi bisogni fisiologici:

“Generale dietro la stazione
lo vedi il treno che portava al sole
non fa più fermate neanche per pisciare
si va dritti a casa senza più pensare
che la guerra è bella anche se fa male
che torneremo ancora a cantare
e a farci fare l'amore, l'amore
dalle infermiere.”

- Generale – Francesco De Gregori

Il treno umanizzato appare anche nelle parole di un bambino che, spaventato dal suo trasferimento in città, già rimpiange la campagna e sente salire una nostalgia del fischio di un treno che diventa addirittura “amico”. Intuizione confermata perché al suo ritorno, ormai in veste di uomo maturo, dovrà confrontarsi con la spietata urbanizzazione che è avvenuta e aggiornare i suoi ricordi alla mutata realtà:

"Mio caro amico" disse "qui sono nato
e in questa strada ora lascio il mio cuore
ma come fai a non capire
che é una fortuna per voi che restate
a piedi nudi a giocare nei prati
mentre là in centro io respiro il cemento
ma verrà un giorno che ritornerò
ancora qui
e sentirò l'amico treno che
fischia così.... wa wa"

Il ragazzo della via Gluck – Adriano Celentano

Partenze sofferte e treni imboccati senza la certezza di tornare. Spogliarsi con violenza di tutto ciò che fino a un attimo fa rappresentava il proprio specchio e nutrimento. Con la morte nel cuore, quasi “rapiti” dal treno, osservare la propria terra scivolare dai finestrini e le montagne verdi svanire negli occhi dell’amato:

“Mi ricordo montagne verdi
e le corse di una bambina
con l'amico mio più sincero
un coniglio dal muso nero
poi un giorno mi prese
il treno
l'erba, il prato e quello
che era mio
scomparivano piano piano
e piangendo parlai con Dio…
Mi ricordo montagne verdi
quella sera negli occhi tuoi
quando hai detto
s'e' fatto tardi
t'accompagno se tu lo vuoi.”

- Montagne verdi – Marcella Bella

Gli occhi dei bambini, quelli del domani, che guardano i treni a bocca aperta e sussultano a ogni fischio della motrice sentendosi per un attimo sul tetto del mondo. I fermi immagine di De Gregori, cristallizzati nell’anno della rivolta d’Ungheria, fotografano con eloquenza una generazione cresciuta con l’entusiasmo del movimento:

“A guardare nei ricordi sembra ancora ieri,
che salivo su una sedia per guardare i treni.
Da dietro a una finestra un cortile grande
un bambino, un bambino...
Mio fratello che studiava lingue misteriose
in ginocchio su una sedia coi capelli corti
eravamo forse solo nel '56, un bambino, un bambino”.


- Il ’56 – Francesco De Gregori

Il treno e il viaggio interiore. Le tappe dentro se stessi. Salire su un treno per scendere in mondi interni e accomodarsi in poltrone ad assaporare un documentario su se stessi. Arrestarsi per un viaggio meditativo nel tentativo di capire la malinconia di momenti fugaci rubati da un treno e gustarli con la consapevolezza che ogni attimo non tornerà mai più:

“E pensavo dondolato dal vagone "cara amica il tempo prende il tempo dà...
noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa...
restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,
le luci nel buio di case intraviste da un treno:
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno..."

- Incontro – Francesco Guccini

Cercare interrogativi in angoli dell’universo che in realtà vibrano nelle proprie viscere. Avvertire le verità che scorrono nella quiete onirica e sicura di un luogo senza spazio e tempo in cui tutto esiste se solo si sceglie di vederlo. Un luogo cristallizzato, come un tempio Shinto, con un candore dimenticato nel percepire la vita come esistenza e non come accadimento:



"Al nord del tempio di Kasuga
sulla collina delle giovani erbe
mi avvicinavo sempre di più a loro
quasi per istinto
sagome dolci lungo i muri
bandiere tenui più sotto il sole
passa un treno o era un temporale
sì, forse lo era.
Ma lei chinava il capo poco
per salutare in strada
tutti quelli colpiti da stupore.
Da lì si rifletteva chiara
in una tazza scura
in una stanza più sicura.”

- Le Ragazze Di Osaka - Eugenio Finardi

Il treno come metronomo che scandisce l’inesorabilità della vita diventando motore principale di ricordi. Un mezzo la cui presenza rappresenta in sé il viaggio della vita con vagoni, binari, scambi ferroviari, stazioni, accelerate e fermate. Una fedele trasposizione delle tappe dell’esistenza, come quella circolare e statica dei paesi di frontiera tunisini:

“Nei villaggi di frontiera guardano passare i trenile strade deserte di Tozeur.
Da una casa lontana tua madre mi vede,
si ricorda di me, delle mie abitudini.
E, per un istante, ritorna la voglia di vivere
a un'altra velocità.
Passano ancora lenti i treni per Tozeur.”

- I treni di Tozeur Franco Battiato

I tragitti emozionali di un treno interno che trasporta paure e tristezze in giro per il proprio essere:

“Come i treni a vapore, come i treni a vapore.
Di stazione in stazione; di porta in porta;
e di pioggia in pioggia;
di dolore in dolore;
il dolore passerà.”

- I treni a vapore – Fiorella Mannoia

Un treno come un palco, per rivedersi e raccontare quello che fu, immaginando di poter mutare un destino che, nel fisico, è già stato. Vecchioni rivede sua madre e i suoi fratelli ma anche se stesso su un treno, fermo nel tempo:

“Incontrarvi seduti sopra quel treno
tutti e quattro avevate vent'anni in meno
come in fondo ad un buco
che dà nel tempo;
e cercare incollando paura e amore
una scusa qualunque per non parlare:
se mi guardano in faccia
che gli racconto?
…Tu eri bella e parlavi coi tuoi bambini
disegnavi sorrisi sui finestrini,
lui segnava i cavalli da giocare
e passò qualcosa di lieve,
come sole in mezzo alla neve
ed avrei voluto dirvi: "Sono io".”

- Ninni – Roberto Vecchioni

I treni prima sognati, desiderati e poi scelti per fuggire. Spesso verso destinazioni ignote, immaginate di notte fissando il soffitto con la foga del partire e la malinconia del distacco nel cuore. É così che Gerardina Trovato lasciò Catania per salire lungo lo stivale carica di aspettative e sensazioni che faticava anche solo a inventare:

“E così presi quel treno, mi fottevo di paura.
Mi portai solo il cassetto, pieno ormai di ragnatele.
E così arrivai in quel posto, fatto tutto di motori.
Mi mancava la mia spiaggia, mi mancava la tua faccia
che ogni notte mi portava a guardare i pescatori.”

- Ma non ho più la mia città – Gerardina Trovato

Si dice che partire sia un po’ come morire e l’immagine del treno che porta via le anime per “traghettarle” verso un aldilà (o “altrove”, che dir si voglia) ritorna spesso. Vecchioni lo canta con malinconia, sulla scia delle parole di Jaques Brel e della splendida cover Seasons in the Sun:
:

“Addio papà, vado in un sogno.
Ma il vero sogno è stato aver vissuto, bruciando tutte le stazioni,
e alla stazione del saluto, avere ancora più canzoni. . .Io prendo un treno
che mi paga Dio: scusa se non ti aspetterò, si prende il treno che si può.”

- Le stagioni nel sole – Roberto Vecchioni

e con curiosa rassegnazione ad un'amica illusa:

“Oh, certo che può sembrare inutile
una stazione a chi non parte mai.
Ma i treni che davvero portan via
non han fiori sui sedili
ma da fuori non lo sai
devi entrarci per sapere dove vai.”

- Irene – Roberto Vecchioni

Il treno e l'amore. Binomio obbligato, in tutte le sue forme. In primis, le parole che ronzano nell'orecchio di ogni italiano medio, vissuto in quest'epoca a cavallo fra due secoli, fin dai primi anni di vita. Ovvero l'immagine di vagoni carichi di gioia lanciati verso destinazioni incerte ma libere. Esplosione di colori e attesa per unire gli amanti nel viaggio adrenalinico del ritrovarsi. L'azzurro che vedeva Celentano, accecato dalla necessità di perdersi in quell'orizzonte celeste per cavalcarlo fin verso la sua meta/à. Eppure, come tutte le proiezioni, il suo treno di illusioni viaggia sulle rotaie instabili della testa e deraglia nei pressi di quella che appare una stazione di ricordi:

“Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo, per me
mi accorgo di non avere più risorse senza di te
e allora io quasi quasi prendo il treno e vengo vengo da te.
Ma il treno dei desideri nei miei pensieri all'incontrario và.”

- Azzurro – Adriano Celentano

Innamorarsi, da adolescente, di un Marco qualunque (uno, nessuno, centomila) su un regionale che tutte le mattine porta al liceo e poi abituarsi a viaggiare senza di lui, in una carrozza ormai priva di battito:

“Marco se n'è andato e non ritorna più.
Il treno delle 7:30 senza lui,
è un cuore di metallo senza l'anima
Nel freddo del mattino grigio di città.”

- La solitudine – Laura Pausini

Arrendersi alla lacerante scomparsa di un amore e lasciarsi travolgere da un treno ignorando che l’amore, per sua natura, si riproduce e l’abbandonato non fa altro che abbandonare a sua volta. Lo struggente racconto di Vinicio di un’estate gelida:

"lui parlava stringeva ballava
guardava quegli occhi e provava a capir
e disse son zoppo per amore
la donna mia m'ha spezzato il cuore
lei disse il cuore del mio amore
non batterà mai più. . .
piangendo urlando e godendo
quella notte lei con lui si unì
spingendo, temendo e abbracciando quella notte
lui con lei capì
che non era avvizzito il suo cuore
e già dolce suonava il suo nome
sciolse il suo voto d'amore
e a lei si donò…e un giorno al profumo dei fossi
lui invano aspettò di vederla arrivar
scendeva ormai il buio e trovava
soltanto la rabbia e il silenzio di sera
la luna altre stelle pregava
che l'alba imperiosa cacciava
restava l'angoscia soltanto
e il feroce rimpianto
per non vederla ritornar
il treno è un lampo infuocato
se si guarda impazziti il convoglio venir
un momento, un pensiero affannato
e la vita è rapita senza altro soffrir
la poteron riconoscere soltanto
dagli anelli bagnati dal suo pianto
il pianto di quell'ultimo suo amore
dovuto abbandonar.”

- Ultimo amore – Vinicio Capossela

I treni e gli addii, masticati fra lacrime trattenute. I treni in partenza accompagnano spesso l'epilogo di storie giunte a binari morti nell'imbarazzo impacciato dell'ultimo saluto:

“E son tornato per vederti andare
e mentre parti e mi saluti in fretta
fra tutte le parole che puoi dire
mi chiedi "Me la dai una sigaretta?"
Io di Muratti mi dispiace non ne ho
il marciapiede per Torino si lo so
ma un conto è stare a farti un po'
di compagnia altro aspettare che
il treno vada via.
Perché ti aiuto io ad andare non lo sai
sì, questo a chi si lascia non succede mai,
ma non ti ho mai considerata
roba mia, io ho le mie favole,
e tu una storia tua.”

- L'ultimo spettacolo – Roberto Vecchioni

Il treno per il mare. Se Celentano racconta di una donna “partita per le spiagge”, Masini, nonostante la sua parzialmente immeritata nomea di uomo triste, trova nella tratta ferroviaria che porta a località marittime il culmine della felicità:


“La tua felicità è un treno in corsa verso il mare,
tu vivila per me, amore mio, raccontami di te.”

- Raccontami di te – Marco Masini


I treni che non tramontano mai. Migliorano le locomotive, sale la velocità, aumentano le tratte, domina l’era ticketless ma è ancora possibile salire sui treni che “portano via”. Si può passeggiare fra gli antichi archi della stazione ferroviaria londinese di King’s Cross, lanciarsi contro la parete di mattoni color terracotta, arrivare alla piattaforma 9 ¾, salire su un treno rosso detto “Hogwarts Express” e sedersi accanto a un maghetto di nome Harry Potter che, con l’ingenuità della sua giovane età, continua a insegnarci che vale sempre la pena difendere l’amore dagli abissi dell’oscurità che alberga dentro noi.
Treni presi. Treni persi, che altro non è che l'anagramma di “presi”. Come se un treno preso fosse,

Valentina Malcotti©

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)