domenica 29 marzo 2009

This used to be my playground


18:30 - Aperitivo con Luci
La rigida Moleskine rosso fuoco mi conferma l'appuntamento. Ho annotato anche l'indirizzo ma ci metto qualche secondo a decifrare la mia stessa calligrafia gallinacea. Il rendez-vous è nella familiare "metropolina" delle cento chiese ma il locale non lo conosco e, lasciata l'auto, mi metto a cercare il numero civico. Al 22 di via Principe Amedeo, dove Luci mi ha dato appuntamento, c'è un nuovissimo negozio di palloncini. Non sapevo esistessero empori dedicati unicamente a queste misteriose sculture di elio e, soprattutto, mi chiedo quanto durerà questa lodevole iniziativa, in questi tempi di ristrettezze economiche generali. Osservo quella che identifico come la titolare sistemare alcune composizioni in vetrina; indietreggia con il capo inclinando il collo nel valutare l'abbinamento che ha appena creato. Il grosso palloncino verde petrolio decorato come una mongolfiera d’inizio secolo scorso sembra soddisfarla, adagiato su uno sfondo di sfere più piccole e levigati sassi di fiume; al più grosso di questi ciottoli è legato un filo di rafia giallo zafferano che tiene la mongolfiera sospesa all'altezza del mio sguardo.

Oltre la vetrina intravedo un cespuglio di quei palloncini a elio che si vendono alle giostre di paese e lungo la strada. Quelli che fanno piangere maree di bambini quando il filo scappa dalla mano sudata e il faccione di Mickey Mouse o del cartone animato di turno, a seconda della generazione, prende il volo. Restano a osservarlo con le lacrime calde che rigano le guance fino a che non ne rimane solo un piccolo puntino nero lanciato verso le nuvole soffici. La proprietaria sta ancora contemplando la mise en scène, visibilmente compiaciuta del risultato. Fa segno al commesso di avvicinarsi e valutare il suo lavoro. Il ragazzo magro e occhialuto (che mi dà l'impressione di non avere sufficiente capacità polmonare per gonfiare un palloncino) la raggiunge annuendo, conquistato dalla disposizione. Anche a me piace il siparietto e rivolgo loro un sorriso attraverso il vetro.

«Qui si vende aria», penso divertita provando sincera stima per chi ha avuto l'audacia e, chissà, forse la lungimiranza di investire sull'elemento gassoso. In fondo, anche se non ci rimarrà nulla, l'aria resterà, se non altro ad avvolgerci nella nostra precarietà. La signora oltre il vetro è quindi un'imprenditrice d'ossigeno, anzi d'azoto, visto che l'aria è composta per il 78% proprio di N (dal latino Nitrogenum). Anche questo è scorretto, però, perché nei palloncini gonfiati a fiato si immette, oltre ad un po' di ossigeno, un'alta percentuale di anidride carbonica. Per non parlare dell'elio.

Devo fare chiarezza su questo punto, mi dico. Luci sì che le sa queste cose. Lei che aveva tentato di passarmi il foglio protocollo del test di scienze sotto il banco. Lei che poi, scoperta, ha dovuto dividere il voto con me: la media tra la sua A e la mia F, ci regalò una C- scritta a penna rossa sul margine del foglio. Non ho mai capito perché la prof. Corgna (mitica prof. di matematica/scienze) mi avesse fatto questo "dono", punendo invece Luci, ai tempi già membro fondatore del noto clan T.S.S.O. (Top Secret Senail Operation). Luci che ci agevolò l'ottenimento della licenza media come privatisti lasciando, su suggerimento preoccupato della Corgna, che tutti mostrassimo le sue proiezioni ortogonali all'orale di educazione tecnica. Cancellato il nome dalla linea tratteggiata dei fogli Fabriano, ritoccammo con un'ultima passata di gomma pane e propinammo alla commissione le medesime tavole per ben sei volte. La stessa Luci che oggi si è confusa proponendomi un aperitivo in un balloon store.

Decido di proseguire lungo la via e, dopo pochi metri, noto una rientranza sulla destra che si apre in un elegante cortile in pavé. Al fondo, vedo l'insegna di un bar e capisco di essere arrivata. Il civico è il 20. Luci mi raggiunge dopo poco. Non trovava parcheggio. Come tutti i chieresi non sa rinunciare all'auto anche se poteva coprire la distanza dal suo ufficio comodamente a piedi; ma è anche questo il bello dei paesi. Prima di entrare ci facciamo due risate sull'errata location pittoresca, godendo dell'ultimissima luce di questo febbraio non bisestile. Un cocktail analcolico per lei e una coca cola per me (reduce dall'influenza intestinale). Addentiamo la montagna di pizzette calde mentre la subisso di domande: «. . . e la casa, le fedi, il vestito, il ricevimento?».

Tra un mese Luci si sposa con Marco. Lo so da quest'estate ma non mi ero resa conto che fosse già così vicino. Poi pongo, con assoluta nonchalance e curiosità, l'unica domanda che lei aspettava: «E i testimoni? Quale delle tue sorelle?». Lei sorride e scuote il capo: «Le mie tre sorelle faranno le damigelle». Aspetto che finisca la frase: «Come testimoni ho mio cugino e poi ci sarebbe una persona che mi deve ancora dire se può». Fa una breve pausa: «Puoi?». Poso la pizzetta sul bordo del piatto e cerco le parole ma mi esce solo un: «Certo che posso, Luci!». Un flash: sorpresa, adrenalina, responsabilità. Me la dà Luci stessa la chiave per districarmi dal misto di emozioni. Lo fa a notte fonda con un Sms: «Vale, sono felice che tu abbia accettato. In fondo, "this used to be my playground"».

Da lì il passo è breve e prima ancora di collegarmi a Madonna, rivedo come una polaroid sovraesposta il luminoso giardino di Ville Roddolo con il suo salotto di pietra, il grande Baobab sul quale ci arrampicavamo e il campo da basket pieno di buche e fuori asse. In fondo c'era una specie di rampa che portava, a sua volta, ad un altro piccolo giardino, anch'esso ghiaioso. Sulla scalinata principale campeggiavano due statue femminili.
C'è voluto poco perché li rivedessi tutti. Mi sono passati davanti uno ad uno, in ordine sparso, con i loro visi di una volta:

Eman, con il suo ghigno contagioso, che ci sfidava a tenere le mani più a lungo premute sul bollente termosifone blu della 4C, durante un inverno particolarmente rigido. Eman, che nel nostro momento Goonies, con relativa avventura immaginata nel sottosuolo del cortile, era stato giustamente nominato il perfetto alter ego dell'ingegnoso Data.
Umbi, che prima si imbrattava i polpastrelli di Vinavil e tossine e poi pelava lentamente la pellicola di colla secca fingendo di essere un Visitors. Umbi, che consumava le gomme da cancellare grattandole disperatamente sul bordo del banco per poi offrici manciate di "fromage".
Tato, con la sua tuta lucida e il lungo caschetto perfettamente equalizzato che sfumava il viola di un pastello ad olio per colorare un'aquila in volo. Tato, che ruminava sempre pezzi di carne secca pescandoli da un sacchetto trasparente.
Vale G., che indossava camicie con grandi colletti tondi e aveva portato sua zia a scuola a mostrarci le tecniche per fare gli Scoubidou. Vale G., che doveva sempre ripetere due volte il suo cognome.
Ire, che canticchiava mentre con una mano riempiva fogli interi di tribali e con l'altra si attorcigliava i capelli. Ire, che quando pioveva si metteva una mantella gialla con i risvolti bianchi e che detiene ancora la collezione più originale che conosco: le punte rotte di matite colorate stipate in un'ampolla trasparente.
Yosuke, i cui appunti di storia presi con la Pilot con punta ad ago avevano la stessa ricercata eleganza di un'opera Shodo dipinta con pennelli di bambù. Yosuke, che dopo le partite di pallone a lunch break, tornava in classe tutto sudato e si toglieva gli occhiali schiarendosi la voce.
Sara, che al primo acaro che attraversava la stanza veniva colta da una crisi di starnuti brevi, ravvicinati e distinti (Ecciii!). Sara, che patrocinava indimenticabili feste di compleanno e di dopo esami (prima nella vecchia casa di sua nonna con tanto di mobile bar anni Cinquanta e dopo, nel suo garage, dove restò anche un indelebile ricordo sulla carrozzeria della Golf materna).
Mari che durante il sospirato recess barattava sempre il Billy all'arancia e il pacchetto di Fonzies con le nostre merende più noiose. Mari, che sembrava salire i tornanti della collina di Moncalieri con un pilota fantasma mentre sua mamma spariva nell'alto sedile della vecchia BMW grigia.
Davide, che tentava sempre di slogarmi il polso. Davide, che fingeva di agire sotto l'ipnosi perpetrata dal gatto striato del vicino ricovero anziani Fiat.
Christina, che improvvisava balletti con scarpe di vernice nere abbinate a calze da tennis imitando il suo idolo, Michael Jackson.
Martha, che attentava continuamente alle nostre silhouette portando alle "bake sale" i cupcakes preparati dalla mamma 100% USA e le sue mille sorelle.
Ross, che infilava uno strano ottagono porpora sulla lunga matita per impugnarla meglio.
Jenny, che tornava dai weekend alla base carica di peanut butter e marshmallows.
Kelsie, con i suoi twin set di cotone colorati e i jeans tie-dye aderenti.
Erwin, che dava scacco matto in tre mosse e, alla veneranda età di 8 anni, era già riuscito a scrivere un suo personale Choose your own adventure con decine di finali diversi.
Chris, con le sue dolce vita bianche e la faccia da americano di “Sconnectiki”.
Rieko, la pallavolista.
Yuka, la bambolina nipponica.
Navin, con il suo maglione rosso a tetris che comunicava con le unghie.
Umbi A., che inizialmente transitò brevemente, timido dietro le sue lentiggini.
Charly, il cui gatto aveva perso metà coda per opera di una pianta carnivora da vaso.
Piero, che è planato come un uragano fra le nostre insicurezze da teenager.
Barb, con il suo italiano simile ad un dialetto ucraino.
Lola che ci ha raggiunto già adolescenti, approcciandoci con una peculiare riservatezza, dettata per metà dalle sue fiere origini siciliane e per l'altra metà dalla sua permanenza nel mondo arabo.

E io chi ero? Conservo meno memorie di me. Io mi ricordo di loro.

Valentina Malcotti©

This used to be my playground
This used to be my childhood dream
This used to be the place I ran to
Whenever I was in need

This used to be my playground
This used to be our pride and joy
This used to be the place we ran to
That no one in the world could dare destroy

This used to be our playground
This used to be our great escape
This used to be the place we ran to
This used to be our secret hiding place

- Madonna -

2 commenti:

Anonimo ha detto...
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